Cura e terapie in caso di contagio da HIV
Il nostro organismo non è in grado di debellare il virus HIV: gli anticorpi che vengono creati non riescono a penetrare nel linfocita contaminato e il virus, che risiede al suo interno, non può quindi essere neutralizzato.
Attualmente non esiste un farmaco in grado di uccidere il virus HIV. Gli studi scientifici sono in corso, ma l’alta capacità di mutazione del virus impedisce di trovare un vaccino efficace. La prevenzione costituisce tuttora l’unica possibilità concreta di evitare un’infezione da HIV.
Tuttavia, a differenza del passato, la medicina ha sviluppato nuovi farmaci che riescono a mantenere il virus HIV debole e in numero ridotto. La sieropositività è diventata così un’infezione cronica, con la quale è possibile convivere.
L’AIDS non è più una malattia mortale, ma non è scomparso. Anche se i farmaci possono ritardarne l’insorgenza indebolendo il virus, non si può escludere la possibilità dello sviluppo della sindrome, che resta comunque la tappa finale nella storia naturale della malattia.
I farmaci antiretrovirali contrastano l'azione dei retrovirus, gruppo al quale appartiene il virus HIV. Sono infatti in grado di bloccare la riproduzione del virus oppure di rallentarne la maturazione. Esistono diversi tipi di farmaci con differenti azioni specifiche: la terapia deve quindi essere prescritta e seguita da un medico in grado di dosare e scegliere il farmaco più adatto al paziente e alla fase della malattia.
Le terapie antiretrovirali sono molto efficaci, tanto che la contrazione dell’infezione da HIV non comporta più una compromissione irreversibile dell’aspettativa di vita del singolo paziente.
Prima della disponibilità di farmaci antiretrovirali efficaci, la fase di AIDS conclamata insorgeva in media dopo 8-10 anni dal contagio. La sopravvivenza media nella fase di AIDS, sempre in assenza di terapia specifica, era di 3 anni.
Con l’avvento della HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy, terapia antiretrovirale altamente attiva), l’insorgenza della malattia è così rallentata e l’aspettativa di vita così aumentata che non esistono studi certi al riguardo. Esiste una estrema variabilità individuale, in dipendenza anche dagli specifici fattori virali, da eventuali malattie concomitanti, dalla tempestività e dalla costanza nell’assunzione dei farmaci.
Ridurre la viremia del virus HIV vuol dire anche limitarne il potere infettante, quindi, ad esempio, avere meno possibilità di infettare un partner sessuale qualora dovesse verificarsi un rapporto a rischio.
Si ricorda, a tal proposito, che è sempre meglio rendere consapevole il partner del proprio stato sierologico, perché a sua volta possa assumere farmaci volti a ridurre ancora notevolmente il rischio di infezione (sempre utilizzando il condom ed evitando pratiche a rischio).
ello specifico un antivirale somministrato al partner del sieropositivo, o a chi è solito avere rapporti sessuali a rischio, è il Truvada (emtricitabina/tenofovir disoproxil). Questa metodologia viene indicata col nome di PrEP, terapia antiretrovirale “preventiva” per le persone sane.
Questo farmaco deve essere associato a regole di safe sex per costituire una profilassi pre-esposizione per il virus HIV. Può iniziare la profilassi, dopo accurate valutazioni mediche, chi risulta negativo per il test HIV.
La somministrazione del farmaco avviene solitamente per via orale e preferibilmente associata ai pasti. Le capsule possono essere disciolte in succo d’arancia o succo d’uva.
Si ricorda che nessuna terapia deve essere iniziata senza l’indicazione del medico.
Se ci si accorge tardivamente di aver avuto un rapporto a rischio medio-alto, o si crede di potere essere stati in qualche modo contagiati, è fondamentale recarsi quanto prima presso un Pronto Soccorso dove il medico prescriverà o meno una Profilassi Post Esposizione (PPE) non oltre l’arco delle 48 ore. La profilassi avrà durata di 4 settimane.
È importante affidarsi totalmente all’operatore sanitario con cui si interagisce, stabilendo un rapporto di fiducia e piena sincerità.